La prima volta al PalaPanini

Caro lettore, facciamo un patto: io non mi vergogno di ammettere pubblicamente che domenica è stata la prima volta che sono andato a Modena e l’ho fatto per entrare nel tempio della pallavolo, non per partecipare al festival della filosofia che si svolge lì da oramai un quarto di secolo (che, considerato il mio mestiere, non è proprio una cosa da sventolare a destra e manca); ognuno di voi, per tutta risposta, mentre legge queste righe, faccia per un momento esercizio di sospensione rispetto al risultato finale della partita, al rammarico del secondo set, per tornare con il pensiero all’istante prima di entrare in quel palazzetto e a quello successivo l’aver varcato quella porta, attraversato quei corridoi. Se il patto regge, allora possiamo far iniziare un racconto, che sembra una favola, ma non lo è.

C’era una volta Giuseppe Panini, classe 1925, figlio di due edicolanti, socio e fratello di Benito, con cui fonda un’agenzia di distribuzione di quotidiani, prima di ritrovare a Milano un lotto di figurine invendute, acquistarle, imbustarle, distribuirle e scoprire l’imprevedibile che avrebbe segnato la sua vita e reso in qualche modo lui “immortale”. Nasce in quel momento, infatti, “il” mitico Panini che noi tutti conosciamo, al quale è intestato, dal 1996, anno della sua morte, proprio il palas di Modena, nel quale siamo entrati, grazie alla Yuasa, con venerazione e rispetto, godimento e privilegio.

Ma, forse, a pensarci bene non siamo mica entrati in UN palazzetto, anzi, dovremmo dire, NEL palazzetto per antonomasia del volley. In realtà siamo entrati in un album Panini: ci siamo ritagliati il nostro spazio, due belle pagine in uno degli album più belli e ne siamo diventati tutti figurine, tutti insieme (giocatori, staff, dirigenti, tifosi). Siamo divenuti parte dell’album Panini nella città delle figurine e della pallavolo. Quel che è capitato domenica è una pagina incancellabile del nostro personalissimo album dei ricordi, ma anche dell’album del volley del nostro Paese, fatto persino delle figurine “grottesi” di chi è sceso in campo, di chi li ha accompagnati, fino alla figurina degli Ska, di quelle che, visto lo striscione e il gruppo, sono lunghe, divise in due e bisogna saperne trovare le metà e attaccarle ben benino per far combaciare i bordi.

Ci sono luoghi che sono abitati anche quando sono vuoti. E ci sono luoghi che raccontano anche quando non parla nessuno. Tale è il loro prestigio. E il PalaPanini è un po’ un luogo così. Ecco, allora, entrare in quel palas ancora vuoto, incrociare gli sguardi dei tanti impegnati a garantire l’evento partita, scorgere sulle pareti trofei che valgono più dei loro numeri (già di loro enormi), vederlo progressivamente riempirsi di colori, voci e musica, incontrare in ogni istante un grottese in più, vedere entrare i nostri giocatori, partecipare a luci spente a un applauso fragoroso e addolorato per la perdita di un dirigente modenese, esserci… semplicemente esserci, poterci essere… giocarsela, far parte di quella storia… e farne un pezzo della nostra storia: “Che fantastica storia è la vita”, canterebbe Venditti.

Ma vado oltre, quasi come se fosse in realtà avvenuto un ulteriore miracolo: quell’album di figurine, nel quale siamo finiti, è divenuto un libro pop-up e noi ne facevamo parte. Avete presente quei libri “magici”, girando le pagine dei quali ciò che essi rappresentano diventa tridimensionale, occupando meravigliosamente volume, uscendo fuori da una pagina piatta e diventando in qualche modo “vivo”? Domenica eravamo tutti le figurine animate di un magnifico libro pop-up, di quelli che vanno conservati, perché il digitale e l’intelligenza artificiale potranno progredire quanto vorranno, ma nel momento in cui, aperto e pulito della sua polvere fra tanti anni, lo faremo vedere ai nostri nipoti resteranno ancora incredibilmente a bocca aperta. Come avviene e avverrà per le figurine.

Cosa è in fondo una figurina per un bambino? All’apparenza niente di più di una semplice fotografia, caratterizzata dal vezzo di poterla attaccare dappertutto, magari in un album da completare; in realtà, si tratta di un frammento di una storia, raccontato con un volto, che appartiene da quel momento in poi a tutti e che si colleziona perché grazie a quella figurina si sogna e si gioca. Continuiamo allora a collezionarle, per sognare e giocare, con il gusto della scoperta, che è dei bimbi curiosi e affascinati, e il desiderio di dimostrare di meritarlo, che è degli adulti seri e responsabili.

Luca Alici

In&Out.
Parole, pensieri, storie.
Dentro e fuori dal campo.